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Non aveva ancora un nome. Era buio, pieno di ragnatele, con muri scrostati e al posto del wc c’era solo un buco. Uno strato di polvere nera copriva gli affreschi mentre mucchietti di macerie si erano depositati sul pavimento, sparsi qua e là. Un luogo di fantasmi senz’altro, ma gentili. Abbiamo subito familiarizzato con loro.

All’inizio è stato un cantiere, un rifugio, una tana che permetteva incontri più o meno clandestini, in un tempo sismico. Parole come pandemia, emergenza, collasso erano all’ordine del giorno e rompevano ritmi, legami, abitudini. È stato in questo paesaggio dissestato che ha preso corpo il nostro piccolo processo di arte drastica, la pretesa di inventare uno spazio che potesse incidere in qualche angolo del quotidiano.

Riconoscere le relazioni che costituiscono un luogo ha gesti ben scanditi: pulire, aggiustare, ornare, immaginare per iniziare a stare e poi anche riposare; sentire la presenza di altri corpi, sfogliare il tempo, andare, tornare e magari celebrare un oggetto posato, come anche uno schizzo su carta. 

Tra questi gesti, ripetuti come una coreografia, il più importante è forse l’esercizio di una concretezza, la composizione di uno sfondo per delle pratiche.

Nel fare e disfare è arrivato anche un nome: Antro. Da vocabolario, un luogo cavo e in penombra, celato da un certo grado di oscurità, nonostante non si trovi sul costone impervio di una montagna, ma in un palazzo cinquecentesco del centro storico di Genova. È da qui che tentiamo di spiazzare delle geografie, intercettando chi cerca, come noi, di sbarazzarsi delle rotte più battute della città a favore di nuovi e desideranti percorsi.

Siamo un collettivo informale e all’Antro nutriamo uno spazio di ricerca per dare e levare forma, fabbricare cose, mischiare insieme diverse discipline – scenografia, antropologia, poesia, teatro, danza, filosofia, pittura – e sottrarci ai ritmi della produzione culturale o accademica. 

Per quanto piccolo, questo luogo segnala una frattura. I suoi movimenti non aderiscono a nessun campo: preferiscono stare tra soglie di mondi, saperi, posture e ospitare visioni non pacificate della realtà, pratiche indisciplinate e sensibilità fuori tempo. 

A poco a poco, abbiamo aperto porte e finestre per cercare antidoti contro l’isolamento e affidarci alla potenza degli incontri, all’eco del passaparola e alla serendipità. Abbiamo ospitato proiezioni, laboratori, mostre, danze, installazioni, letture, conversazioni e gruppi di studio. Non sappiamo cos’altro accadrà, vogliamo continuare ad accogliere qualcosa di inatteso, e pure fabbricarlo, maneggiando le linee di uno sfondo, la riottosità di un tempo e tutto ciò che ancora non possiamo nominare.